SOMMARIO: 1. Il Bitcoin – 2. Dinamiche fiscali applicate al Bitcoin negli U.S.A. – 3. L’esenzione delle operazioni di cambio bitcoin secondo le istituzioni europee – 4. Riflessioni conclusive
Il Bitcoin
Prima di approfondire la tematica tributaristica oggetto della presente pubblicazione giuridica occorre fornire alcuni cenni nozionistici basilari riguardo questa peculiare valuta.
Il bitcoin è una valuta virtuale ideata nel 2008 e completamente slegata ed esonerata da qualsivoglia vincolo di natura economica e fiscale imposto da qualsiasi Paese o banca mondiale poiché generato attraverso un processo computerizzato noto come mining e basato su un sistema di pagamento detto “peer to peer” poiché estraneo a qualsiasi forma fisica di valuta, avvenendo il tutto online. Trattasi più precisamente di criptovaluta, ossia una valuta virtuale e complementare che permette lo scambio di valore tra utenti senza intermediari, in forma pseudo-anonima grazie all’attribuzione per ciascuna transazione di un codice alfanumerico che racchiude in sé tutti i passaggi effettuati durante il decorso storico dei bitcoin oggetto di transazione, dalla loro creazione sino all’ultimo passaggio. Tale garanzia matematica potrebbe essere violata soltanto attraverso sofisticate verifiche informatiche, che comunque non potrebbero portare ad un risultato valido in tempi utili.
Dinamiche fiscali applicate al Bitcoin negli U.S.A.
Sulla base di questa fondamentale premessa iniziale, ne consegue che il bitcoin, trattandosi di valuta digitale emessa da un sistema decentralizzato del tutto estraneo a qualsivoglia banca centrale mondiale, è completamente esonerato dalle dinamiche fiscali ed economiche tipiche delle valute di emissione statale o comunitaria (ad es. dollaro, euro ecc.).
Ne consegue che il plusvalore guadagnato dalle transazioni nel circuito specifico delle criptovalute non è suscettibile né risponde di qualsivoglia imposizione fiscale da parte di alcuno Stato.
Premesso che ancora non vi sono norme specifiche che regolamentino dal punto di vista fiscale le operazioni effettuate attraverso valuta virtuale, attualmente è possibile disquisire della materia soltanto sulla base di mere supposizioni rinvenienti da radici empiriche.
Invero, è necessario considerare a livello mondiale le modalità con cui ciascuno Stato o Comunità ha gestito l’argomento. Gli U.S.A. sono tra i primi a livello mondiale ad aver regolamentato i fenomeno Bitcoin, stabilendo che le operazioni ad esso connesse tra cui l’emissione, distribuzione, scambio, trasferimento sono suscettibili dell’applicazione delle norme di Bank Secrecy Act del 1970. Con tale disposizione normativa, il Ministero del Tesoro statunitense (Financial Crimes Enforcement Network) ha provveduto ad assoggettare le operazioni vitali inerenti il bitcoin all’obbligo di registrazione delle operazioni finanziarie effettuate, al fine di agevolare le indagini su eventuali frodi fiscali o altre attività illecite come il riciclaggio.
Si precisa che la ridetta normativa viene applicata, tuttavia, soltanto nel caso specifico di speculazione finanziaria ossia soltanto per i cosiddetti money transmitter ossia coloro i quali fanno uso del bitcoin per commercio/professione al solo fine di trarne guadagno utile strettamente connesso alla valuta, lungi dall’utilizzarla quale mezzo di scambio alternativo alla valuta corrente per l’acquisto/vendita di beni o servizi. In tale ottica, infatti, alcun obbligo od onere fiscale può essere attribuito nei confronti dei comuni users (utenti non professionali) i quali fanno uso del Bitcoin strettamente quale mezzo di acquisto/vendita di beni o servizi. In quest’ultimo caso la normativa vigente negli U.S.A. si limita a richiedere agli users soltanto la mera dichiarazione degli eventuali guadagni percepiti dalle transazioni a mezzo bitcoin.
La normativa oggetto di analisi, tuttavia, nel caso degli users si appalesa piuttosto vaga, non esplicitando se a seguito della ridetta dichiarazione venga applicata una tassazione specifica e, in tal caso, di quale importo e genere.
Invero, va precisato che qualora concettualmente il bitcoin venisse considerato come una forma di investimento azionario, subirebbe negli U.S.A. una tassazione del 24% (con deducibilità limitata in caso di perdite), mentre nel caso in cui venisse considerato come valuta allora si applicherebbe un’aliquota superiore al 43% circa (ma con piena deducibilità in caso di perdite).
Ne consegue che la tassazione del bitcoin, considerato quale valuta, seppur digitale, si profilerebbe sotto molteplici evidenti aspetti pocanzi enucleati, come pseudo-anonima in riferimento all’elemento dell’occultamento dell’identità dell’users codificata attraverso una sequenza alfanumerica.
L’esenzione delle operazioni di cambio bitcoin secondo le istituzioni europee
Tale neonata e dibattuta questione dell’imposizione fiscale sul bitcoin ed altre criptovalute non riguarda soltanto il Ministero delle Finanze d’oltre oceano bensì è stata recentemente portata all’evidenza anche della Corte di Giustizia dell’Unione Europea la quale con Sentenza pubblicata il 22 Ottobre 2015, si è espressa evidenziando l’esenzione delle operazioni di cambio concernenti i bitcoin e le altre valute virtuali in Europa.
La Corte di Giustizia Europea ha chiarito che i bitcoin rappresentano una valuta virtuale, generata in rete e scambiata tra gli utenti attraverso un “indirizzo bitcoin” (equiparabile al numero di un conto corrente bancario).
Dal canto suo, la Banca Centrale Europea ha definito il ridetto scambio tra users “a flusso bidirezionale”, differente dalla moneta elettronica, perché si esprime in unità di calcolo virtuale e non tradizionale.
Per tali ragioni, secondo la Corte di Giustizia Europea il bitcoin, in qualità di valuta virtuale, non può considerarsi “bene materiale”, così come definito dall’art. 14 della Direttiva 2006/112/ce giacchè non trasferisce alcun diritto di proprietà ed è utilizzato unicamente per il cambio fra vari mezzi di pagamento, e come tale è esente dall’imposta sul valore aggiunto per le transazioni compiute all’interno del territorio europeo.
La finalità primaria rinvenibile nella ridetta pronuncia della Corte di Giustizia è senza ombra di dubbio quella di apportare benefici e facilitare gli scambi interni al mercato comunitario attraverso l’utilizzo della moneta virtuale come mezzo di pagamento alternativo a quello legale.
In quest’ottica le attività di cambio di bitcoin in moneta a corso legale e viceversa, rientrano a pieno titolo tra le attività esenti dall’applicazione dell’Iva per le transazioni compiute all’interno del territorio europeo.
Riflessioni conclusive
Ad avviso di chi scrive, le criptovalute in generale ed il Bitcoin in particolare, in quanto avulse dal controllo di qualsivoglia authority, costituiscono una vera e propria opportunità rivoluzionaria finalizzata a muovere denaro, in qualsiasi parte del mondo, più rapidamente, con modalità più efficienti e con maggiori garanzie di privacy rispetto alla valuta statale comunemente utilizzata. Invero, al contrario del sistema bancario, trattandosi di valute virtuali del tutto decentralizzate, non è possibile da parte di alcun governo statale effettuare verifiche fiscali o controlli concernenti la tracciabilità della valuta mossa online.
A cura di:
Avv. Romina Centrone
Vicepresidente Bitcoin Foundation Puglia
Si ringrazia per la collaborazione:
Giuseppe Grisorio - Presidente Bitcoin Foundation Puglia
Stefano Capaccioli - Dottore Commercialista ed Esperto Contabile