In realtà nella guerra vera e propria la gran parte delle spese se ne va in logistica: spese per benzina, per sposare i soldati, spostare i rifornimenti, insomma dei costi enormi che non sono "produttivi" neanche per i venditori di armi.
Non a caso si sono visti immagini e filmati di carri armati russi fermi perché avevano finito la benzina (tra l'altro ora che ne parliamo mi chiedo se utilizzino benzina normale o qualcosa di particolare, non mi sono mai fatto questa domanda) e mangiavano razioni scadute da tempo. Colgo l'occasione per consigliarvi un paio di film sul tema, nulla di impegnativo, probabilmente li avete già visti: Lord of War (con Nicolas Cage) e War Dogs (con Jonah Hill). Non sono sicuramente documentari ma fanno comunque riflettere sugli interessi che ci sono dietro alle guerre ed i relativi costi.
Lord of war grandissimo film. Anche l’altro non è male, ma Jonah Hill non riesco proprio a prenderlo sul serio. Mio limite, anche lui un caxxo di attore (come tutti gli attori di Hollywood del resto).
Per quanto riguarda la guerra, suggerisco di seguire su Facebook Guido Olimpio, giornalista del Corriere della Sera:
Zelensky reclama la riconquista di Makariv, il Pentagono — di solito molto cauto — fornisce un quadro pessimista sulle condizioni dell’Armata. Parla di ucraini all’offensiva per riprendersi territorio e sottolinea i problemi russi: avrebbero perso oltre il 10% delle truppe dispiegate e l’avanzata sarebbe in difficoltà su molti fronti.
Questi sviluppi sono accompagnati da una domanda: come aiutare l’Ucraina in questo momento cruciale? Gli Stati Uniti e gli alleati della Nato, come nel lavoro di intelligence, camminano su quella sottile linea rossa che permette loro di fornire assistenza difensiva senza diventare combattenti attivi nel conflitto, cercando di fare il possibile per aiutare gli ucraini senza oltrepassarla. In quest’ottica, scrive il Wall Street Journal, Washington sta inviando in Ucraina alcune batterie anti-aeree SA 8 di fabbricazione sovietica: sono equipaggiamenti vecchi, ottenuti decenni fa per analizzare la tecnologia in uso ai russi, che vengono ora prelevati nelle basi americane.
Nel poligono di Fort Irwin, nel sudovest degli Stati Uniti, fra Nevada e California, i mezzi di concezione russa in mano agli americani sono ben visibili e vengono impiegati dalle unità che svolgono il ruolo dei nemici: alcuni sono davvero «sovietici», altri modificati per imitarli. Li ho visti in un paio di occasioni. Nella base di Nellis, a Las Vegas, c’è un’area che ne ospita molti, nota come «Petting Zoo». Quando la visiti puoi solo sfiorare con lo sguardo il "recinto", un alto muro dal quale spuntano parti dei mezzi. E poi c’è il centro di Redstone, in Alabama, che accoglie «pezzi» provenienti dall’Est: un programma clandestino su cui il Pentagono investì 100 milioni di dollari negli anni Novanta e diventato pubblico quando un aereo sovietico fu avvistato dall’autostrada a Huntsville. Negli hangar ci sono anche dei S300 d’origine bielorussa, ma non sembrano destinati a partire: quel segmento sarà coperto dai missili promessi dalla Slovacchia.
A Washington c’è chi spinge per dotare Kiev di equipaggiamenti con i quali non solo rallentare l’invasore, ma anche poter lanciare contro-attacchi: considerazioni legate al dibattito su apparati "offensivi" e "difensivi" da spedire verso l’Ucraina. La differenza dipende dall’impiego, si gioca sulle parole. E' chiaro. Chi — al Congresso — auspica una maggiore sostanza pensa a carri armati, artiglieria, lanciamissili a lunga gittata, elicotteri d’attacco, persino aerei. C’è tuttavia un problema, la resistenza deve saper usare i mezzi: i Patriot degli Stati Uniti necessiterebbero di personale americano o di mesi di addestramento per poterli usare.
Per eventuali mezzi occidentali serve il training, per questo Washington invia quelli concepiti nell’ex Urss. Da qui la necessità di pescare in quei Paesi che dispongono di materiale già usato dall’Ucraina: Polonia, Bulgaria, Ungheria fra gli altri. Sempre in quest’ottica, è nata l’idea di dirottare quei pochi esemplari presenti nelle basi Usa, e che l’esercito ucraino conosce già, avendoli ereditati dopo il collasso dell’Unione Sovietica. Se gli Stinger — l’equivalente anti-aereo dei Javelin, un’arma da spalla — possono colpire elicotteri e aerei che volano a bassa quota, questi sistemi di difesa permetterebbero all’Ucraina di imporre una no-fly zone di fatto per i russi, allargando l’ombrello missilistico.
Insieme alle «spade» c’è però un elemento più profondo. Una parte degli analisti, ritenendo che si sia prodotto uno stallo, è convinta che rinforzando Kiev si possa rendere l’operazione speciale di Putin ancora più complessa. Questo «partito» sottolinea i lati deboli dell’Armata: i missili intelligenti che non funzionano, la carenza di scorte (Zelensky sostiene che i russi ne hanno appena per tre giorni), il morale basso, diversi soldati colpiti da congelamento, il rifiuto di alcune unità a combattere, le perdite in migliaia di elementi, l’alto numero di parà e commandos uccisi, i rimpiazzi poco preparati e con dotazioni superate.
Qualche osservatore più tecnico corregge il tiro, affermando che l’invasore si è adattato, conduce missioni notturne sia sul terreno che con i jet Sukhoi, sfrutta le debolezze di chi difende e intanto picchia duro sulle città con i cannoni a lunga gittata, i Grad, le testate termobariche. Il tempo è in favore del Cremlino, scrive l’ex ufficiale dei marines Andrew Milburn, reduce da una ricognizione sul terreno. La sua "visione" è minoritaria tra quanto seguono gli sviluppi, al tempo stesso riflette un approccio prudente manifestato da fonti del Pentagono. La regola è sempre quella del giorno per giorno. Crediamo che nessuno conosca il futuro, politico e bellico. A parte la certezza tragica delle distruzioni immense.
Infine c’è sempre il timore che lo Zar voglia spianare tutto, arrivando anche a usare le armi non convenzionali evocate da Biden. Il portavoce del Cremlino lo ha escluso a meno che non sia minacciata l'esistenza della madre patria.