"Quindi, se è vero che per moltissime cose pratiche (per es. come visitare un sito dal proprio browser, come accedere alla propria casella di posta, ecc.) la gran parte degli utenti di Internet ha l’abilitazione cognitiva per operare per altre azioni ciò non è detto (Antinucci, 2009). Infatti, sempre secondo Antinucci “il problema si manifesta a mano a mano che i contenuti informativi diventano più ricchi di conoscenza e tendono a presupporre altre e sempre maggiori conoscenze. […] Se la conoscenza potesse essere semplicemente «riversata» in una persona come si fa un pieno di benzina a una macchina, attaccandosi alla pompa, basterebbe davvero attaccarsi alla «pompa» di Internet per fare un super pieno”(Antinucci 2009, p. 75). Ma, ovviamente, non è così e per riuscire a gestire la complessità di Internet bisogna prima di tutto usarlo e fare esperienza di esso. Lo stesso pare di capire dalle parole di Fabio Metitieri, giornalista scomparso di recente: “Internet, in sostanza, di per sé non è buono né cattivo, ma è soltanto uno strumento che offre molte possibilità in più rispetto ai diversi altri mezzi che lo hanno preceduto finora” (Metitieri 2009, p. 12); quindi, mettendo da parte inutili allarmismi Internet occorre saperlo usare (Metitieri 2009, p. 12).
Tutto ciò è sintomatico del fatto che ancora oggi è talmente diffusa la vulgata che Internet sia nato per scopi militari che è davvero difficile far capire che ciò non corrisponde al vero. In realtà, come spiega Graham Meikle, il fatto che Arpanet (Internet ante litteram) in origine fosse stato concepito come un network che doveva garantire la comunicazione in caso di attacco nucleare durante la Guerra Fredda è un mito creato dai media (Meikle, 2004). Il suo scopo era di permettere agli scienziati e ai ricercatori accademici di condividere risorse in un momento storico1 in cui i computer erano degli strumenti enormi2 e incredibilmente costosi (Meikle, 2004). La vera spinta che alimentò quella rivoluzione fu la semplice condivisione di risorse (Meikle, 2004).
Un altro punto che vale la pena di ricordare riguarda le aspettative riposte nel nuovo medium: è stato una sorta di peccato originale l’aver caricato addosso alla Rete il peso della «democratizzazione» del globo, come negli anni Venti accadde per la radio (Meikle, 2004). Il pericolo di una storia già vista è come una spada di Damocle che pende sulla Rete. Difatti, anche degli utenti della radio si disse che avrebbero potuto “spaziare per il mondo e liberarsi una volta per tutte delle vecchie barriere di razza, lingua e distanza”3 . Lo stesso si dice oggi di Internet, ma basta guardare alla Cina (solo uno degli esempi possibili) per vedere come Internet e libertà non siano di per se stessi coincidenti.
Per di più, ciò che bisogna lasciarsi alle spalle se si vuole guardare con occhio critico a Internet (come a tutte le altre tecnologie) è il «determinismo tecnologico». Molti autori considerati per la stesura di questo lavoro rifiutano in toto questa vulgata: non è detto che “la tecnologia proceda autonomamente, per la sua strada, e ciò che inventa ricade sul mondo e causa tutta la catena dei cambiamenti delle nostre vite e delle nostre strutture economiche e sociali”(Antinucci 2009, p. 3). Voler attribuire alla tecnologia il libero arbitrio di cui godono gli esseri umani pare veramente troppo e infatti “il legame causale diretto tra cambiamento tecnologico e mutamenti socioeconomici appare illusorio. Il modo in cui cambiamento tecnologico, successo economico e cambiamenti sociali interagiscono mostra percorsi assai diversi tra loro. […] La vera chiave – o, almeno una chiave importante – sembra essere lo sfruttamento «opportunistico» di qualcosa che si trova nell’ambiente: è in questo processo che spesso risiede la creatività inventiva che genera successo, piuttosto che nella pura creazione di novità che spesso resta senza seguito” (Antinucci 2009, p. 4). Infatti, la storia delle invenzioni perdute nel tempo è abbastanza lunga (Antinucci, 2009) come è alquanto singolare il ruolo del caso nelle vicende umane: se il CERN non avesse preso la decisione – determinante per la sua affermazione universale - di mettere il World Wide Web a disposizione di tutti, rinunciando ai diritti d’autore (Antinucci, 2009), forse questa tesi non avrebbe mai visto la luce."
1 Il periodo cui ci si riferisce è intorno alla fine degli anni Sessanta.
2 I computer di allora erano grandi più o meno come dei moderni frigoriferi.
3 William S. Dutton (1929), Minute Men of the Air, citato in Meikle G., 2002; Disobbedienza civile elettronica – Mediattivismo e Internet: costruire insieme una nuova sfera pubblica, Apogeo, Milano 2004 p. 1.
Antinucci F., 2009, L’algoritmo al potere – Vita quotidiana ai tempi di Google, Laterza, Roma-Bari.
Metitieri F., 2009, Il grande inganno del web 2.0, Laterza, Roma-Bari.
Meikle G., 2002, Disobbedienza civile elettronica. Mediattivismo e Internet: costruire insieme una nuova sfera pubblica, Apogeo, Milano, 2004.
Ciò che scrissi allora vale, a mio avviso, pari pari per ilBTC:
- Internet (leggi BTC), in sostanza, di per sé non è buono né cattivo, ma è soltanto uno strumento che offre molte possibilità in più rispetto ai diversi altri mezzi che lo hanno preceduto finora.
Io la vedo in questo modo.