Se siamo d'accordo sul fatto che non stiamo parlando di togliere il diritto di voto ma solo di differenziarlo ad esempio con un sistema di pesi, allora dovremmo anche studiare quale possa essere questo sistema di pesi. Che nell'ipotesi di cui si discuteva prima poteva essere basato su alcuni punti qualificanti, non solo la capacità contributiva ma anche la preparazione sul fatto di conoscere alcuni aspetti basilari del sistema di funzionamento dello stato, e così via. I punti che trovi nei primi post.
Ma se invece anche questa differenziazione dovesse "condurre a un sistema di caste, con un'oligarchia dominante, ....." beh non avrebbe proprio senso parlarne no? Nel senso che il discorso non avrebbe senso fin dal suo nascere.
(io ovviamente non sono di questo parere, mi piacerebbe un sistema che possa pesare il voto modo diverso)
si può anche discutere sull'opportunità di introdurre dei pesi, ma quel che dico è che il criterio non può essere il censo, ovvero la ricchezza posseduta (da cui deriva l'ammontare versato all'erario) come nell'esempio criticato da Cazzullo, perché appunto porterebbe ad un sistema plutocratico caratterizzato da un'élite ricca che detiene il potere, e quindi capace di sfruttarlo per diventare sempre più ricca ed escludere ancora di più le masse "proletarie", che non avrebbero l'opportunità e i mezzi per migliorare la propria condizione sociale. Sarebbe un salto all'indietro di secoli, quasi come tornare a un sistema feudale caratterizzato da un totale immobilismo sociale.
È interessante che l'etimologia di "timocrazia" sia composta da timè (τιμή): "onore". Quindi un sistema che riconosca maggior peso politico a chi si distingue per onorabilità potrebbe anche avere senso, ma quello che trovo fuorviante e fondamentalmente sbagliato è tradurre onore con ricchezza accumulata, e conseguentemente capacità di contribuzione fiscale.
Se partiamo dall'idea che bisogna riconoscere dignità al lavoro, anche al più umile, in quanto apporta una qualche utilità sociale, allora ogni cittadino-lavoratore deve avere riconosciuti pari dignità e pari diritti politici, indipendentemente dalla retribuzione e dalla conseguente capacità contributiva.
Quell'articolo della Costituzione è bello, come quasi tutti gli articoli della ns Costituzione, ma come sempre la bellezza può essere male interpretata.
In questo caso secondo me c'è una parola di troppo: scelta.
E' comodo dire che non vuoi andare a lavare i pavimenti perché è un lavoro che non ti piace, quindi "scegli" di non farlo. Ma sei in grado di trovarne un altro al posto di quello e che ti soddisfi maggiormente? perché se non sei in grado (ili "tu" non è riferito a te ovviamente!) allora i casi sono due:
- accetti quel lavoro, volente o nolente
- o altrimenti vuol dire che rimani a casa a non far niente. Attenzione però perché se fai questa seconda scelta, NON soddisfi più quel che dice quell'articolo della Costituzione perché faccio notare che in quell'articolo c'è anche la parola "dovere", ogni cittadino ha il "dovere di svolgere.... che concorra al progresso....".
Se rimani a casa a far niente non concorri ad alcun progresso, lo fai solo come scelta di comodo e grazie al fatto che qualcun altro fa andare avanti lo stato contribuendo al posto tuo.
infatti l'articolo dice "secondo le proprie possibilità E la propria scelta", ovvero: fra le possibilità che ti offre il mercato del lavoro, scegli quella a cui ti senti più incline. Non è contemplata la scelta di stare a casa (a parte il caso di smart working, che ovviamente non era lontanamente immaginabile nel 1948)