Dopo i chiarimenti ai fini IVA forniti di recente dai giudici europei sul tema, con la Risoluzione 72 dello scorso 2 settembre, per la prima volta l’Agenzia delle Entrate ha toccato il tema degli aspetti fiscali (imposte dirette e IVA) dei bitcoin. Oggetto di analisi è, in particolare, il trattamento fiscale delle transazioni di cambio valuta tra moneta virtuale e moneta nazionale avente valore legale.
1. Le transazioni aventi a oggetto bitcoin sono esenti dall’IVA
La Risoluzione in esame nasce da un’istanza di interpello presentata da una società che intende svolgere l’attività di cambio valute tra bitcoin ed euro. Il documento ha il pregio di rappresentare il primo tentativo da parte dell’Agenzia delle Entrate di dare un inquadramento nel sistema fiscale italiano alle monete virtuali:
a. il bitcoin è un mezzo di pagamento alternativo alle monete aventi corso legale, operante esclusivamente per accettazione volontaria degli operatori, ovvero sul vincolo di fiducia tra soggetti che operano peer-to-peer, senza alcuna regolamentazione specifica né Autorità centrale;
b. il bitcoin è, in particolare, una criptovaluta, in quanto ha natura digitale e si fonda su un sistema di crittografia algoritmica.
Quanto al regime fiscale, la Risoluzione riprende le conclusioni rese dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella sentenza Hedqvist, causa C-264/14, del 22 ottobre 2015.
Il caso oggetto della pronuncia europea riguardava un cittadino svedese che svolgeva l’attività professionale di cambio valuta tra bitcoin e corone svedesi. La Risoluzione sposa il contenuto della sentenza della Corte europea, confermando che le transazioni aventi a oggetto monete virtuali sono esenti da IVA. In dettaglio:
in primo luogo, è affermato il principio che i bitcoin non sono “beni materiali“, in quanto non svolgono finalità diverse da quella di mezzo di pagamento;
se la moneta virtuale non è un bene, ne consegue che le transazioni bi-direzionali di scambio di bitcoin contro monete legali sono prestazioni di servizi che, se svolte a titolo oneroso, rientrano nel campo oggettivo di applicazione dell’IVA;
la Direttiva IVA (art. 135, par. 1, lett. e), Direttiva 2006/112/CE) prevede che le transazioni aventi a oggetto divise, banconote e monete aventi valore legale beneficiano dall’esenzione dall’IVA. La ragione va individuata nell’esigenza di preservare il funzionamento efficiente del mercato interno, che risulterebbe ostacolato dall’applicazione dell’imposta alle transazioni monetarie;
le monete virtuali hanno la medesima funzione di meri mezzi di pagamento, sicché anche le transazioni in bitcoin devono essere assoggettate al regime di esenzione ai fini IVA.
Come da noi segnalato nel nostro precedente intervento, la notizia (in sé positiva) dell’esenzione dall’IVA delle transazioni di scambio di bitcoin in moneta legale si porta dietro l’ineludibile conseguenza della indetraibilità dell’IVA sostenuta sugli acquisti. Per le società che svolgono tale attività di scambio valute, quindi, se è vero che non addebiteranno ai clienti l’importo dell’IVA, le stesse non potranno dedurre l’IVA sostenuta sull’acquisto di beni e servizi strumentali all’attività d’impresa. Si pensi a canoni pagati per la concessioni in licenza di software (ad esempio, software per l’accesso alle piattaforme di pagamento online), al costo di acquisto di componenti hardware o ai canoni di locazione degli uffici ed alle spese generali.
Ma come detto la Risoluzione non si limita a confermare il trattamento IVA già dettagliato dai giudici comunitari: il citato documento di prassi fornisce chiarimenti anche in merito al trattamento fiscale ai fini delle imposte dirette delle transazioni di cambio valuta . La società istante, infatti, realizza un utile che è dato:
nel caso di ordine alla società di comprare bitcoin, dalla differenza tra costo di acquisto sostenuto e prezzo caricato al cliente;
nel caso di ordine di vendere bitcoin, dalla differenza tra il corrispettivo ottenuto e il prezzo garantito al cliente.
Tale margine costituisce “materia imponibile soggetta ad ordinaria tassazione ai fini Ires (ed Irap)“.
Quanto alla valorizzazione dei bitcoin eventualmente detenuti dalla società a fine anno, questi vanno valutati fiscalmente al valore normale, da indentificarsi nella “media delle quotazioni ufficiali rinvenibili sulle piattaforme on line in cui avvengono le compravendite di bitcoin”.
2. Il cambio di bitcoin in valuta può generare una plusvalenza tassabile?
Un ulteriore chiarimento fornito dall’Amministrazione finanziaria riguarda il tema se il cambio di bitcoin in euro possa generare una plusvalenza soggetta a imposta sostitutiva del 26% in capo al cliente persona fisica che detiene bitcoin al di fuori dell’attività d’impresa. Si pensi al caso in cui un individuo abbia acquistato bitcoin al prezzo x e decida di venderli al prezzo x + 1.
Il differenziale positivo realizzato con la vendita costituisce una plusvalenza tassabile?
La Risoluzione nota come: “le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa“. L’art. 67, comma 1, lett. c-ter), del d.P.R. n. 917/1986 (Tuir), assoggetta a tassazione le sole operazioni di cessione di valute estere “a termine”, quindi realizzate nel contesto di contratti aventi un’indiscutibile natura speculativa, assente nelle cessioni a pronti. Anche a voler assimilare le operazioni in bitcoin a quelle in valuta estera ai fini della tassazione delle plusvalenze, lo scambio di bitcoin in euro non sarebbe tassato in capo al cliente persona fisica.
L’indicazione di prassi sembrerebbe, tuttavia, alla luce di precedenti risoluzioni dell’Agenzia (Risoluzioni n. 67/E del 2010, 102/E del 2011 e 71/E del 2016), soggetta ad eccezione con riferimento alle operazioni di compravendita di valute sul mercato FOREX. Pur trattandosi di vendite a pronti, l’Agenzia ha chiarito che in tali casi l’intento speculativo non può essere disconosciuto e, pertanto, le eventuali plusvalenze realizzate sulla differenza di cambio sono soggette a tassazione in quanto proventi da contatti derivati (art. 67, comma 1, lett. c-quater), Tuir).
Pur nel silenzio della Risoluzione, si potrebbe quindi dedurre che le operazioni di compravendita di bitcoin realizzate sul mercato FOREX potrebbero essere suscettibili di generare plusvalenze tassabili in capo alle persone fisiche al di fuori dell’attività d’impresa, sebbene sarebbe auspicabile un chiarimento ufficiale sul punto.
3. Bitcoin e antiriciclaggio
In chiusura, la Risoluzione tocca un tema di primaria rilevanza, estendendo la portata della normativa antiriciclaggio alle transazioni in bitcoin. L’art. 11, comma 2, lett. c), D.Lgs. n. 231/2007, estende infatti gli obblighi di compliance previsti per la categoria degli intermediari finanziari ai “soggetti che esercitano professionalmente l’attività di cambiavalute, consistente nella negoziazione a pronti di mezzi di pagamento in valuta“.
Per effetto dell’equiparazione tra bitcoin e monete legali, l’Amministrazione finanziaria conclude che anche le società che svolgono attività di cambio bitcoin-Euro dovrebbero soggiacere agli obblighi antiriciclaggio (adeguata verifica della clientela, registrazione delle operazioni rilevanti, segnalazione delle operazioni sospette).
È tutt’altro che pacifico che all’Agenzia delle Entrate spetti la competenza in materia d’interpretazione della normativa antiriciclaggio. Né va dimenticato che le risoluzioni sono documenti di prassi privi di valore vincolante.
Ciò detto, l’assimilazione dei bitcoin alle monete aventi corso legale, che appare validamente supportata in ambito fiscale (soprattutto in tema di imposte indirette), sembra possa reggere anche per le diverse e specifiche finalità di prevenzione criminale che sottendono la normativa antiriciclaggio. Alla base, infatti, resta il principio che il bitcoin non è un bene materiale ma un mero mezzo di pagamento e, in quanto tale, presenta i medesimi rischi di strumento per il perseguimento di condotte criminali presentati dalle valute aventi corso legale.
Ad ogni modo, la rilevanza del tema bitcoin-antiriciclaggio sembra avere già toccato la sensibilità del legislatore europeo. La proposta di Quarta Direttiva Antiriciclaggio presentata dalla Commissione affronta in maniera diretta il problema dell’anonimato, estendendo gli obblighi di compliance e segnalazione ai soggetti che gestiscono piattaforme di scambio di monete virtuali e paventando l’istituzione di database dei detentori di bitcoins.
Per il momento, tuttavia, occorre salutare con favore gli sforzi profusi dall’Amministrazione Finanziaria in un settore di grande attualità e in costante espansione.
Giovanni Iaselli
Giovanni Iaselli
Avvocato specializzato nelle tematiche fiscali connesse al settore technology & gaming, lavora a Milano nel dipartimento tax dello studio legale internazionale DLA Piper.
Autore di diverse pubblicazioni, ha maturato una significativa esperienza nel settore dell’IVA e imposte indirette.
Si occupa inoltre di operazioni di M&A e di fiscalità internazionale.