Appunto, stiamo parlando di economia, e in economia vale il principio che le cose hanno un costo che ne rispecchia il valore. E il valore non si misura in assoluto, ma in proporzione a quello del resto dei beni e servizi. Se sale il livello medio di questi ultimi, tutto ciò che mantiene un valore di fondo, compreso il lavoro, o mantiene la proporzione o è indice di un qualche squilibrio di forze, cioè di qualcuno che da una parte o dall'altra se ne sta approfittando.
Può essere che ad approfittarsene da un lato siano i lavoratori? Ovvio, sarebbe fin troppo facile prendere come esempio casi eclatanti di assenteismo o fannullonismo, in particolare nel pubblico impiego. Molto più difficile nel settore privato, dove un'azienda per spravvivere sul mercato non può permettersi di pagare qualcuno per scaldare una sedia. E dove la sproporzione di forze pende più facilmente dalla parte del datore di lavoro, soprattutto per lavori non particolarmente qualificati, e può degenerare in certi casi in forme di ricatto e sfruttamento.
Quindi limitarsi a svilire la produttività italiana nel suo complesso significa buttare tutto in un calderone, senza distinguere dove stanno le inefficienze e gli sprechi (per i quali è sacrosanto indignarsi) e dove stia il valore.
Mi fai l'esempio della sanità e del settore farmaceutico, che sono probabilmente quelli in assoluto più legati al pubblico. E ci credo che sono una fonte di inefficienze dovute a corruttele e clientele varie. Quello che vedo lavorando nell'IT è ben diverso: i clienti sono quasi tutte imprese private, non abbiamo "mammelle" di stato a cui attaccarci, semmai lo stato si fa vivo quando è il momento di riscuotere le tasse, altro che sussidi. E perché una azienda in questo settore (o in altri a bassa intensità di capitale) si possa definire sana e competitiva, deve sapere investire nel capitale umano, puntando sulle competenze di profili qualificati. Lì sta il valore, e a quel valore deve essere attribuito il giusto prezzo, e quindi è giusto che venga adeguatamente remunerato.
L'Italia è l'unico Paese al mondo che ha una voragine pubblica affiancata ad una enorme ricchezza privata.
Minore che in passato, distribuita malissimo e in via di riduzione, ma comunque enorme.
So che sono cose odiose da sentirsi dire, ma le due cose sono strettamente legate.
Quella ricchezza è stata creata, nei decenni, grazie al sudore e alla fatica delle generazioni che ci hanno preceduto, senza dubbio.
Ma è stata, in gran parte, formata drenando risorse al settore pubblico.
Ogni spesa dello Stato, anche la più improduttiva e non necessaria è sempre una forma di guadagno per il settore privato.
Ogni spreco di un ente pubblico e il ricavo di un imprenditore e lo stipendio di un lavoratore.
Il conto, attraverso il meccanismo del debito, è a carico delle generazioni future.
La cosa è ovviamente stata iniqua:
c'è chi se ne è avvantaggiato tantissimo, chi tanto, chi poco, qualcuno per nulla. Nei modi più vari e fantasiosi.
Il paese della cuccagna si è ridimensionato con l'entrata in Europa e alla fine i nodi sono venuti al pettine.
Oggi l'imposizione fiscale non può che essere alta (ma non sufficiente), i servizi erogati non possono che essere pessimi.
Cito la tua bellissima firma:"debt is slavery".
Ogni debitore, oltre una certa soglia, diventa schiavo dei suoi creditori.
E noi quella soglia l'abbiamo abbandonata da un pezzo. Non siamo più nemmeno una democrazia: Berlusconi/Monti nel 2011 e Conte/Draghi di recente sono stati due colpi di stato imposti dai nostri creditori. Governi legittimamente eletti ma non graditi all'Europa, sostituiti da governi graditi a chi, scusate l'espressione, ci tiene per le palle.
Uscire dall'Europa vorrebbe dire diventare più o meno l'equivalente della Turchia. Inflazione al 73% e un dittatorello come Erdogan al potere.
Non ci sono terze vie.
Debt is slavery: non può esserci riconoscimento del valore e del merito in un paese di schiavi.
Abbiamo chi? Lo dici alla persona sbagliata: proprio perché so dare il giusto valore alle cose, il mio stile di vita è da sempre improntato all'essenziale e di certo non consumo nulla che so di non potermi permettere. E non sono disposto a pagare le conseguenze della scellerataggine altrui.
Se poi tu hai tutta questa propensione all'autoflagellamento e ci tieni tanto a pagare per presunte colpe collettive, sei liberissimo di piegarti a 90 e accettare passivamente e serenamente tutte le cure medioevali che qualcuno cercherà di far passare come necessarie per il bene superiore.
"Abbiamo" tutti, non è una questione di propensione o scelte.
Se tu sei su una barca che affonda puoi lamentarti quanto vuoi che lo scafo non si è rotto per colpa tua e che tu remavi più di tutti gli altri. Alla fine affogherai come tutti gli altri.
Pensa ad un lavoratore bravo, volenteroso e capace. Il miglior lavoratore possibile. Che ha la sola sfiga di vivere e lavorare...in Venezuela.
Quanto pensi che il suo valore venga riconosciuto e remunerato? Meno di zero, perchè il Venezuela è un Paese in cui il merito non è riconosciuto, né riconoscibile.
Un Paese che con il miraggio di far vivere tutti nella bambagia, ha ridotto tutti alla fame.
L'Italia dagli anni 60 in poi ha imboccato la stessa strada abdicando a qualsiasi forma di meritocrazia in nome di un livellamento generale verso il basso
E avrebbe fatto la stessa fine se l'Europa non ci avesse imposto un minimo di rigore, facendocene pagare le conseguenze.
Prima parlavate dell'apatia dei nostri connazionali, del tirare a campare accontentandosi.
Non è sempre stato così: l'Italia del boom ha sfornato per decenni generazioni di imprenditori geniali e innovativi che il mondo ci invidiava.
La propensione al rischio e la voglia di fare erano uno dei pilastri dell'Italia del dopoguerra.
Perchè le persone sapevano che l'alternativa al mettersi in gioco era quasi sempre la fame.
Oggi l'alternativa al mettersi in gioco è il reddito di cittadinanza.
E "mettersi in gioco" significa scontrarsi contro una burocrazia impossibile e leggi idiote.
La conseguenza è che L'Italia è il miglior paese della terra in cui vivere se si è poveri e uno dei peggiori se si è bravi.
E' un sistema che fa di tutto per incentivare il tirare a campare, per farti ragionare con l'idea del "ma chi me lo fa fare?".
E' inevitabile che le generazioni di giovani e giovanissimi crescano con questa apatia addosso, non possiamo nemmeno dire che sia colpa loro. E' l'effetto diretto della realtà in cui vivono.
Continui a ripetere cose in gran parte condivisibili nelle premesse (se citi la mia firma, sai già che sul debito con me sfondi una porta aperta), al di là di certe forzature (per quanto si possa essere negativi sul nostro paese, non hanno senso certi paragoni estremi come con il Venezuela), non altrettanto nelle conclusioni che ne trai.
Quindi non vorrei dilungarmi ulteriormente a ripetere cose già dette.
Ora però hai aggiunto tra le righe un tassello fondamentale: a beneficiare di questo sistema (iniquo, corrotto, clientelare, ecc.) è stata in larga misura una parte minoritaria, che si è sproporzionatamente arricchita a scapito di una maggioranza a cui se va bene sono arrivate le briciole, alla peggio che ci ha rimesso. Con il risultato di accrescere il divario tra chi sta molto in alto e chi sta molto in basso, e con un assottigliamento di chi sta in mezzo, la bistrattata "classe media".
Per cui se è vero che il sistema così non è sostenibile e va raddrizzato, se vogliamo arrivare a sostenere che l'imposizione fiscale (già mediamente alta) non è sufficiente a far fronte al debito, si tratta di intendersi su chi debba pagare il conto. Con un'evasione fiscale intorno al 10% del Pil, non è così difficile farsi qualche idea. Anche perché c'è il più che fondato sospetto che la maggior parte di quella pecentuale sia stata sottratta dagli stessi (im)prenditori che dalle casse dello stato hanno attinto a piene mani, senza mai restituire.
Poi mi sta benissimo correggere anche certe storture come il reddito di cittadinanza, o altre forme di assistenzialismo degenerante nel parassitismo, ma chi sta nel mezzo? A noi che lavoriamo duro e in busta paga ci troviamo già prelevato fino all'ultimo centesimo di tasse e contributi, ancora non basta? No, mi spiace: qui abbiamo già dato.
E continuerò a respingere ogni accusa di aver vissuto "nella bambagia", essendo cresciuto in un contesto tutt'altro che agiato in cui c'era da stringere la cinghia e nulla era dato per scontato. Non è stato facile ma sicuramente molto educativo, e mi sta bene così: non rinnego niente e tornassi indietro non vorrei mai far cambio con chi è stato abituato ad avere sempre la pappa pronta, come se tutto gli fosse dovuto. Ho imparato molto presto che se volevi ottenere qualcosa, te lo devevi sudare. Te lo dovevi
meritare.
E parlando di merito, è evidente a tutti che in questo paese non sia il criterio generale con cui è selezionata la classe dirigente (o più che altro si tende a valutare un altro genere di meriti), e questo è sicuramente un problema grave, ma la meritocrazia esiste ancora dove c'è da sporcarsi le mani e fare il lavoro vero. Perché un'azienda che vuole mantenere una reputazione non può permettersi di mettere un incapace a sviluppare un prodotto, solo per "simpatia" o altri criteri che di professionale hanno ben poco, sapendo che ne uscirà un servizio di infima qualità, facendo perdere clienti.
Quindi per concludere e ribadire quanto già detto più volte, nonostante tutti i limiti dell'economia asfittica di questo paese, di aziende in grado di fare utili ne esistono ancora, e tutte le premesse di cui sopra non possono diventare il facile pretesto per negare il giusto riconoscimento, anche dal punto di vista economico, a chi contribuisce attivamente con il proprio lavoro di qualità ai risultati aziendali. Altrimenti sarà un modo per selezionare le aziende in grado di attrarre i talenti e i professionisti più qualificati, da quelle che raccoglieranno gli scarti disposti a lavorare mal pagati, col risultato di perdere competitività fino a sparire definitivamente dal mercato.