secondo un commercialista se si supera la giacenza di 51k euro su conti vari si rientra in categoria cosiddetta di
speculazione anche se si vende bitcoin e si dovrebbe pagare il 26%.
non è proprio così, si tratta della famosa Risoluzione 72/E del 2016
http://def.finanze.it/DocTribFrontend/getPrassiDetail.do?id={16E02095-584D-4CB3-A59B-62657D7B9BFF}quella dei 51k è una specie di leggenda metropolitana che gira sui siti web dedicati all'argomento, è un po' come con i vaccini che fanno malissimo...
quel limite si riferisce all'attività di cambiavalute oppure ad un'azienda che ha a disposizione valute estere sui propri conti correnti per effettuare pagamenti
http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2016/09/10/bitcoin-e-tasse-domanda-il-privato-cittadino-deve-dichiarare-le-plusvalenze-o-no/http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2015/09/01/vuoi-usare-i-bitcoin-ecco-cosa-ne-pensa-il-fisco-in-italia-e-in-europa/una persona fisica che detiene Bitcoin a titolo di investimento o di speculazione , i relativi proventi dovrebbero essere dichiarati in UNICO persone
fisiche nel quadro RT.
2. IL CAMBIO DI BITCOIN IN VALUTA PUÒ GENERARE UNA PLUSVALENZA TASSABILE?
Un ulteriore chiarimento fornito dall’Amministrazione finanziaria riguarda il tema se il cambio di bitcoin in euro possa generare una plusvalenza soggetta a
imposta sostitutiva del 26% in capo al cliente persona fisica che detiene bitcoin al di fuori dell’attività d’impresa. Si pensi al caso in cui un individuo abbia acquistato bitcoin al prezzo x e decida di venderli al prezzo x + 1.
Il differenziale positivo realizzato con la vendita costituisce una plusvalenza tassabile?
La Risoluzione nota come: “le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa“. L’art. 67,
comma 1, lett. c-ter), del d.P.R. n. 917/1986 (Tuir), assoggetta a tassazione le sole operazioni di cessione di valute estere “a termine”, quindi realizzate nel contesto di contratti aventi un’indiscutibile natura speculativa, assente nelle cessioni a pronti. Anche a voler assimilare le operazioni in bitcoin a quelle in valuta estera ai fini della tassazione delle plusvalenze, lo scambio di bitcoin in euro non sarebbe tassato in capo al cliente persona fisica.
L’indicazione di prassi sembrerebbe, tuttavia, alla luce di precedenti risoluzioni dell’Agenzia (Risoluzioni n. 67/E del 2010, 102/E del 2011 e 71/E del 2016), soggetta ad eccezione con riferimento alle operazioni di compravendita di valute sul mercato FOREX. Pur trattandosi di vendite a pronti, l’Agenzia ha chiarito che in tali casi l’intento speculativo non può essere disconosciuto e, pertanto, le eventuali plusvalenze realizzate sulla differenza di cambio sono soggette a tassazione in quanto proventi da contatti derivati (art. 67, comma 1, lett. c-quater), Tuir).
Pur nel silenzio della Risoluzione, si potrebbe quindi dedurre che le operazioni di compravendita di bitcoinrealizzate sul mercato FOREX potrebbero essere suscettibili di generare plusvalenze tassabili in capo alle persone fisiche al di fuori dell’attività d’impresa, sebbene sarebbe auspicabile un chiarimento ufficiale sul punto.
La fiscalità al di fuori dal reddito di impresa
Interpretazione, quella della Ris. 2 settembre 2016 n. 72/E, che mostra alcune rilevanti criticità quando la stessa risoluzione si esprime in merito alle operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta, poste in essere da persone fisiche non in regime di attività di impresa, sostenendo che non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa.
Siffatta affermazione, se fosse considerata una frase tronca della ragionevole chiosa “entro i limiti di cui dell’art. 67, comma 1-ter”, almeno che non pretendesse introdurre una nuova fattispecie reddituale, vuole ricalcare la ratio della normativa in materia di imposte dirette sul reddito delle persone fisiche per le operazioni in valuta estera che non abbiano un fine meramente speculativo, previsto dall’art. 67, comma 1-ter) del TUIR. In questo caso, al fine della tassazione della plusvalenza realizzata al momento della cessione (occorre evidenziare come anche il prelievo dal deposito o dal conto corrente venga equiparato alla cessione), particolare attenzione deve essere posta al monitoraggio dei saldi, in quanto l’obbligo dell’assoggettamento ad imposta sostitutiva del 26% si applica nel caso in cui la giacenza dei depositi complessivamente (valute virtuali e valute estere) intrattenuti dal contribuente superi l’equivalente di euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. c-ter) e comma 1-ter).
Diversamente, se l’intento fosse meramente speculativo (ad esempio, cessioni a termine), la normativa in materia di imposte dirette sul reddito delle persone fisiche – in particolare la lettera c-ter) dell’art. 67 comma 1 del TUIR – prevede che in tutti i casi in cui un contribuente ponga in essere atti, tra essi collegati, aventi ad oggetto “valute estere”, finalizzati a conseguire plusvalenze in dipendenza di un intento speculativo su cambi, i predetti risultati assumano rilevanza reddituale. Tali redditi percepiti da parte di persone fisiche devono essere quantificati come la somma algebrica delle plusvalenze e minusvalenze realizzate in relazione a ciascuno dei rapporti detenuti e devono essere assoggettati ad imposta sostitutiva del 26%. Il criterio temporale è quello del LIFO.
La BCE esclude le valute virtuali dalla definizione di moneta e di valuta estera
L’interpretazione appena analizzata e desumibile dal documento dell’AdE, però, si scontra profondamente con le definizioni fino ad oggi espresse dalle Banche Centrali ed in primis dalla BCE fin dal 2015: Virtual currencies do not fit the economic or legal definition of money or currency. Even if the terms “virtual currency” and “virtual currency schemes” are used in this report, Eurosystem central banks do not recognise that these concepts would belong to the world of money or currency as used in economic literature, nor is virtual currency money, currency or a currency from a legal perspective. Le valute virtuali non sono moneta o valuta estera.
Stante, quindi, l’impossibilità di riconoscere la natura monetaria delle operazioni in valute virtuali, la fattispecie reddituale che residua alle persone fisiche al fine di allocare i differenziali ottenuti dalle operazioni di acquisto e vendita, è quella prevista per le operazioni di carattere finanziario dall’art. 67 dalle lettere c-ter) del TUIR, nel caso si considerasse maggiormente aderente la definizione di titolo non rappresentativo di merci, oppure verso l’applicazione delle previsioni della lettera c-quinquies) del comma 1, nel caso in cui la dizione «strumento finanziario da cui possono essere conseguiti differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto» fosse ritenuta meglio rappresentativa della realtà. A differenza delle operazioni in valuta estera che non abbiano carattere meramente speculativo, in questa interpretazione, l’aliquota del 26% trova applicazione indifferentemente dai saldi detenuti dal contribuente.
Risulta di primaria importanza considerare che le eventuali minusvalenze prodotte da operazioni in valute virtuali, realizzate operando investimenti di natura finanziaria per effetto dell’art. 67, comma 1, lettera c-quinquies) del TUIR, non risultano deducibili ai sensi dell'art. 68, comma 9 del TUIR.
Per quanto attiene al reddito di impresa, dal solo punto di vista tributario ed escludendo le iscrizioni a bilancio, l’unica differenza considerevole sarebbe da rinvenirsi nell’irrilevanza fiscale delle valutazioni effettuate al termine dell’esercizio, ai sensi dell’art. 110 comma 3 del TUIR.
Circolari e risoluzioni hanno carattere meramente interpretativo ed indicativo
Terza ed ultima ipotesi, per le persone fisiche non in regime di attività di impresa, resta l’interpretazione letterale della citata Ris. 2 settembre 2016 n. 72/E: non imponibilità delle operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta virutale.
Decisione assai temeraria per le sorti del contribuente che decidesse di aderirvi pedissequamente, soprattutto in considerazione del valore giuridico della risoluzione in esame e, in generale, del valore giuridico delle risoluzioni emanate dall’AdE in risposta ad interpelli posti ai sensi dell’art 11 comma 1a) della L. 27 luglio 2000 n. 212, nei confronti della totalità dei contribuenti. Infatti, è noto che le stesse abbiano potere obbligatorio unicamente per l’amministrazione finanziaria e soltanto nei confronti del soggetto che abbia presentato l’istanza di interpello. Giurisprudenza consolidata conferma come circolari e risoluzioni abbiano carattere interpretativo ed indicativo senza obbligare alcuna parte ad un determinato comportamento (Sent. 2 novembre 2007 n. 23031, Sent. 09 gennaio 2009 n. 237e Sent. 05 marzo 2014 n. 5137).